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Per fare chiarezza, un pò di storia. |
Molte persone si stanno interessando alle diete
low carb (cioè con basso apporto di carboidrati), ma resta forte la
preoccupazione sulla reale capacità dell'organismo di far fronte alle
richieste energetiche in una situazione simile. In queste persone è tanto
più forte tale preoccupazione quanto più è forte l'abitudine al consumo di
carboidrati, come cereali, pane, pasta, e specialmente se raffinati, come biscotti,
merendine, ecc. |
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Per capirne un pò di più
è importante sapere che nella
storia dell'uomo, iniziata circa due milioni e mezzo di anni fa, ci sono
state tre fasi che hanno caratterizzato il suo regime alimentare:
- la
prima, risalente a due milioni e mezzo di anni fa, che lo vedeva
vegetariano arboricolo;
- la seconda, iniziata circa un milione e mezzo di anni fa, quando è
passato al consumo di carne in conseguenza di forti stravolgimenti
dell'ambiente in cui viveva;
- e la terza, recentissima (iniziata circa 7000 anni fa), in cui
l'uomo ha provveduto ai suoi bisogni alimentari dedicandosi in gran
parte alla agricoltura e all'allevamento.
Se in questa ultima fase
abbiamo potuto relativamente migliorare le condizioni della umanità, grazie
alla maggiore quantità di cibo disponibile,
e la relativa facilità con cui poteva essere prodotto, ne abbiamo anche fortemente intaccato le condizioni di salute. Non
possiamo ignorare che in un periodo davvero breve (i circa 7000 anni sopra
menzionati) abbiamo forzato il nostro organismo ad adattarsi al consumo di
alimenti per i quali non era ancora geneticamente preparato. Ricordiamoci che
per circa 1.500.000 anni l'uomo ha soddisfatto le sue esigenze alimentari
in tutt'altra maniera. L'avvento dei carboidrati sottoforma di cereali è
recentissimo, e l'assunzione di zuccheri nella dieta dell'essere umano,
per un lunghissimo periodo, è stata limitata alla sola frutta e verdure
che l'uomo poteva reperire già disponibili in natura, non coltivati, e solo
stagionalmente.
Impossibile non riconoscere che il condizionamento maturato in un periodo
così lungo non sia ancora attivo, e che un fenomeno di adattamento biologico a
nuove abitudini richiede molto, molto più
tempo. Di fatto, ancora oggi, il corpo umano non ha strumenti efficaci per elaborare,
senza conseguenze negative, dei carboidrati come i cereali (ce ne può dare prova una
gran fetta di popolazione affetta da celiachia). Studi recenti hanno
individuato la percentuale di variazione del nostro attuale patrimonio
genetico rispetto ai nostri avi: 0,25%! |
I riscontri obiettivi. |
Sul nostro pianeta non tutta la popolazione fa
uso di alimenti derivati dalla elaborazione di cereali. La raffinazione
degli alimenti, sempre più spinta, porta con sè lo snaturamento dei
principi nutrizionali e stravolge il rapporto dell'organismo con il cibo.
Una situazione che ci ha permesso tuttavia di valutare in modo obiettivo gli
effetti generati dal consumo di certi alimenti per periodi ultradecennali.
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Ma proviamo a fare una piccola indagine a
ritroso, e andiamo a scoprire cosa accadeva già nell'antico Egitto.
La grandezza dei loro monumenti e le numerose informazioni che la storia
ci ha consentito di raccogliere attraverso la lettura dei papiri ci hanno
permesso di conoscere molti dettagli sulla loro vita e sulle loro
abitudini. Così risulta ad esempio che la gran parte della popolazione era
affetta da obesità, e non quale conseguenza di una ambizione estetica del
periodo. Sebbene le pitture a decoro delle
tombe ci trasmettano un'idea delle forme fisiche dell'epoca di gusto paragonabile all'attuale,
scopriamo che la salute comune era non poco compromessa. Molti elementi di
riscontro ci raccontano di esseri umani colpiti da
calvizie precoce, con carne flaccida, pelle avvizzita, tubercolosi, arcate
dentali aggredite
da carie e piorrea, e grande diffusione di malattie
del metabolismo, iperlipidemie, diabete, disfunzioni cardiache, infarti.
Sembra di vedere la condizione sanitaria attuale. E cosa era al centro
delle abitudini alimentari per gli Antichi
Egizi? Primariamente un grande assortimento di cerali, poi frutta, verdure, miele, olio d’oliva.
Il tutto ci restituisce un regime alimentare
costituito per il settanta per cento da carboidrati, per il venti per
cento da grassi, e il dieci per cento da proteine (tra l'altro di basso
valore biologico).
Allo stesso tempo riscontriamo la quasi totale assenza di colesterolo e
di altri grassi animali, e
non troviamo (ovviamente) zuccheri raffinati.
Nonostante questo, i risultati che si palesano alle nostre valutazioni non permettono
certamente di attribuire salubrità a questa condotta alimentare. Eppure
per il nostro tempo, la OMS, le istituzioni, queste stesse scelte
sarebbero
proposte come un riferimento assoluto di igiene alimentare. Volendo
ulteriormente approfondire e ampliare il raggio della nostra ricerca, andiamo a scoprire che gli stessi eventi
si verificano in ogni area geografica in cui, nel passato, le popolazioni
hanno assunto abitudini alimentari nuove, passando da una tradizione di
caccia e raccolta, ad una di coltivazione e con una agricoltura sempre più
estesa. In quello stesso momento, nel passaggio da una fase alimentare
all'altra, si assiste allo stravolgimento della
situazione sanitaria con le evidenze sopra ricordate, una riduzione della durata della vita, e
un diminuito sviluppo in altezza
e, soprattutto, in massa muscolare. Grazie alle ricerche condotte sul campo da
scienziati dell'alimentazione, è stato possibile anche andare a verificare
puntualmente queste ipotesi realizzando un validissimo strumento di comparazione
su alcune popolazioni attuali. In particolare, con
riferimento ad uno studio del 1985 compiuto presso la popolazione di una tribù del Botswana,
San Bushmen, in sud Africa, dove le condizioni di vita e abitudini
alimentari potevano pienamente ricondursi ad uno stadio primordiale, si è
potuto accertare che, grazie al tipo di alimentazione ricca in carne,
frutta e vegetali non coltivati, ogni forma di malessere e
disfunzione ricollegabile al consumo di cereali elaborati, era totalmente
assente. Tra le altre considerazioni, nonostante una elevata presenza di
grassi nella dieta, non si è potuto riscontrare alcuna anomalia nei
livelli di colesterolo nel sangue, nessuna malattia ricollegabile a
disfunzioni cardiocircolatorie, in uno stato di salute eccellente, con
masse muscolari forti e definite, e struttura ossea ben radicata e
compatta. Facciamo dunque il punto su alcuni guasti che ancora oggi, con facile
e immediato
riscontro per chiunque,
possiamo accreditare al consumo di cereali.
- La pasta, il pane, la pizza, i biscotti, fanno ingrassare, a causa
dell'elevato indice glicemico, e tutti, più o meno, ne sono al
corrente;
- questi stessi alimenti gonfiano la pancia: è la conseguenza del
loro alto contenuto di antinutrienti, che ne rendono lunga e
difficoltosa una completa digestione;
- provocano ritenzione idrica, alterazione nella risposta dei
centri nervosi alla sensazione di fame e sazietà, torpore, e attivano
risposte neuro ormonali sfavorevoli;
- come diretta conseguenza, a questi alimenti vengono addebitate l'arteriosclerosi, il
diabete, le disfunzioni metaboliche, l'invecchiamento precoce;
- nelle popolazioni svantaggiate, dove l'unica risorsa alimentare
sono i cereali, è comune trovare individui di bassa statura,
malaticci, deboli, indolenti (loro malgrado).
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Gli interessi veri che regolano il consumo di carboidrati raffinati. |
Certo ci possiamo chiedere allora, come mai il
consumo di questi alimenti è così diffuso, e non sembra trovare alcun
argine la prassi di affidare senza timori i nostri figli a questa insana abitudine?
Proviamo a fare delle ipotesi.
- Le industrie che lavorano i cereali realizzano profitti immensi
(inferiori solo a quelli delle industrie farmaceutiche). Utilizzando
materie prime di basso costo (farine, acqua, zucchero), e con il solo
onere della lavorazione, producono biscotti, pani, pasta, merendine,
con un enorme "plusvalore";
- gli stessi stati, che prelevano ai comuni cittadini percentuali
elevatissime del proprio reddito proprio per la tutela della salute
pubblica, hanno interesse a non ostacolare la
proliferazione di questa abitudine, che rappresenta dopotutto una
spesa piuttosto modesta, alla portata di chiunque (una pizza se la
possono permettere tutti!), e che al contempo genera una
facile soddisfazione, "riempie la pancia" per così dire. E
si sa che con la pancia piena si è molto meno disposti a
contestazioni e riflessioni sul merito. Tanto più che già sappiamo
come il consumo di questi alimenti induca uno stato di torpore e
assonnamento ideali per calmierare ogni velleità. Una opportuna informazione
di igiene alimentare, per contro, costituirebbe un pericoloso
elemento di destabilizzazione, con l'esito non gradito di una cultura
alimentare diffusa, di una popolazione progressivamente
più informata e consapevole, interessata alla propria salute, e determinata a
tenersi le risorse economiche necessarie a procurarsi il cibo più
giusto, visto che, carne, pesce e altri alimenti di qualità, non hanno
il basso costo dei cereali lavorati;
- le disfunzioni metaboliche conseguenti al consumo pluridecennale
di tali alimenti, e le malattie collegate,
hanno permesso alle aziende farmaceutiche di costruire la propria
forza e il proprio impero finanziario. Queste, concertando ad arte
campagne di disinformazione in grado di promuovere, indirettamente,
il consumo di detti alimenti, inducono la popolazione mondiale a
trovarsi in una condizione di malattia, dalla quale potrà uscire solo
ricorrendo ai rimedi che le stesse aziende farmaceutiche hanno
sapientemente preparato.
- tutto il circo trova inoltre la naturale approvazione dei vari
centri di estetica, centri per la salute, centri per il benessere,
specialisti dietologi, ecc., che naturalmente traggono grande profitto
economico dalla diffusa e costante disinformazione.
A questo punto è comprensibile come poche voci in
controtendenza, pur bene argomentate, non possano trovare un grande pubblico
disposto ad ascoltarle. Troppo grande il coinvolgimento di società,
istituzioni, potentati finanziari e corporazioni varie per dare il giusto
peso a teorie così poco ortodosse. Resta solo la speranza che per ognuno
di coloro che invece ne ha compreso il significato, si accenda nella
propria sfera di competenze e capacità, il lume del buonsenso, e possa
rompere con l'atteggiamento passivo che fino ad oggi ha permesso al
sistema di decidere al suo posto, della propria esistenza. Dopotutto non è
necessario sradicarsi dalle confortevoli abitudini quotidiane. E' già
sufficiente restarne consapevoli, e valutare, di tanto in tanto, se quello
che stiamo avvicinando al palato, sia anche adatto alla nostra salute.
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Come avvicinarsi alla dieta low carb. |
Come molti di coloro che hanno sperimentato, o
stanno sperimentando, il passaggio verso una dieta più bassa in
carboidrati, anche io ho vissuto gli iniziali fastidi che questa scelta
porta con sè. Si tratta di sensazioni che riguardano il basso livello di
energia disponibile, il mal di testa, gli sbalzi d'umore, la mente
annebbiata, ecc. E' un fenomeno temporaneo, ma certamente potrebbe portare
a ritenere che questa non sia la scelta migliore da fare, e più di uno
potrebbe sentirsi incoraggiato a ritornare sui suoi passi. Viene talvolta
definito "sindrome low carb" ed è un passaggio obbligato per la gran
parte dei soggetti che decidono di ridurre la
quota di carboidrati nella propria dieta. In effetti il passaggio metabolico
dall'impiego prevalente di risorse a base glucidica a risorse di
natura lipidica e proteica comporta alcune difficoltà di adattamento,
che vengono generalmente superate nell'arco di 2-4 settimane. |
Al termine
del periodo l'organismo si ritroverà con la sua funzionalità metabolica riprogrammata, e sarà in grado di utilizzare pienamente e con facilità
le nuove disponibilità energetiche. Potrà quindi attingere ad un
patrimonio di risorse più ampio e con una efficienza prima sconosciuta.
Anche il cervello è più reattivo ed utilizza meglio i chetoni, che
sono il sottoprodotto del metabolismo dei grassi, in condizioni di assenza di
zuccheri. |
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Abbandonare l'elevato consumo di carboidrati significa
destrutturare le consuete vie metaboliche, tramite le quali siamo
stati in grado sì di sviluppare le nostre capacità aerobiche e di
resistenza, ma che non ci ha permesso di intaccare efficacemente i depositi
di grasso. Ore e ore di attività cardio non attivano il metabolismo
dei grassi poichè la primaria via metabolica per ottenere energia
resta quella glucidica. Anche dopo pesanti sedute di allenamento
aerobico il nostro corpo cercherà sempre di privilegiare la ricerca di
glucidi, i quali, non più disponibili, vengono reperiti disgregando la
materia proteica. Allo scopo vengono infatti ridotte le masse muscolari magre, da cui si ricavano gli aminoacidi adatti a fornire energia,
in un processo di tipo catabolico detto gluconeogenesi. Quando riusciamo a
rimuovere questo condizionamento delle vie metaboliche, non è più
necessario affannarsi nelle attività cardio, e il nostro corpo
normalmente andrà ad utilizzare i grassi come fonte energetica, in ogni
circostanza. Si riducono anche notevolmente i tempi necessari per un
allenamento di qualità, che non andrà a superare i 20-30 minuti.
Come sopra spiegato, il modificare la nostra abitudine verso il consumo di
carboidrati può portare dei fastidi, più o meno tollerabili, secondo il
soggetto che li sperimenta. E' tuttavia possibile usare delle
accortezze per modulare il passaggio verso l'altra via metabolica in modo
meno traumatico. Ad esempio può bastare aggiungere 20-30 gr di
carboidrati al giorno per il primo periodo, prima di scendere alla
quota minima, e quando si affronta l'allenamento si può ridurre la
durata della seduta a 10-15 minuti. Resta da sottolineare che una
scelta di questo tipo ben si sposa con le esigenze di soggetti che
cercano una via per stare in salute praticando attività fisica e
alimentadosi in modo accorto. Quello che decidi di fare del tuo corpo
dipende unicamente da te, ed eventualmente dal parere del medico di tua
fiducia cui potresti/dovresti rivolgerti. Quanto hai fin qui letto è solo
una obiettiva esposizione dei fatti e non va interpretato come una
prescrizione medica. La dieta low carb potrebbe non essere praticabile da
atleti o comunque persone che affrontano impegni sportivi la cui
finalità oltrepassa la semplice necessità di benessere.
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